Il primo luglio sul Monte Giovi è iniziata la terza campagna di scavi archeologici per riportare alla luce i resti di una fortificazione militare etrusca risalente a 2.400 anni fa. Proprio sulla vetta del monte si sta esplorando una vasta area dove, per ora, sono stati identificati tre siti dove scavare.
Le ricerche proseguiranno fino al 26 luglio a cura di un gruppo di 15 ricercatori, studenti dell’Università di Firenze fra i 21 e i 28 anni provenienti da tutta Italia: un team che, per arrivare nella zona degli scavi, è costretto a muoversi a piedi per raggiungere l’ultima parte del monte, poiché la zona è troppo impervia per essere raggiunta con altri mezzi.
Gli etruscologi hanno ragione di credere che Monte Giovi, fra il IV e il III secolo a.C., facesse parte di un sistema di controllo costruito intorno a Fiesole. Probabilmente molte vette dell’Etruria venivano sfruttate strategicamente per sorvegliare il Mugello, ad esempio la Calvana, il Monte Morello, Pratomagno. Le fortificazioni che vi venivano costruite servivano alla difesa e all’avvistamento ed erano in grado di “comunicare” fra loro tramite segnali fatti col fuoco.
Ma durante questa campagna di scavi si stanno trovando anche resti di un edificio e di materiali più antichi. Probabilmente Monte Giovi fu sede di un insediamento precedente, che partirebbe intorno al VII secolo a.C. Gli archeologi pensano che ci fosse un luogo di culto, fatto che spiegherebbe il nome stesso del monte, Mons Iovis o monte di Tinia, come gli Etruschi chiamavano Giove.
Per capire meglio cosa poteva esserci lassù siamo andati a vedere gli scavi da vicino. Ci accompagna il giovane archeologo e etruscologo Luca Cappuccini, direttore delle ricerche, che ci spiega dettagliatamente cosa hanno trovato e cosa ne hanno dedotto.
In uno dei siti vediamo che sono tornati alla luce i grandi blocchi in pietra che delimitavano il perimetro rettangolare della fortificazione. La cinta muraria doveva aggirarsi intorno ai 50 metri per 25, era spessa 2 metri e mezzo ed era in pietra sostenuta da travi di legno, di cui sono stati rinvenuti dei resti bruciati e delle parti ancora integre. Su un lato del crinale si intravede invece quella che forse fu una delle entrate, dalla forma leggermente ad imbuto, più ampia sull’esterno e più stretta sull’interno, la cui soglia era lastricata.
Luca ci spiega che questi tipi di insediamento militare venivano edificati velocemente e con poca spesa. Non prevedevano una presenza fissa di persone, non erano luoghi dove vivere anche a causa delle condizioni climatiche avverse. Venivano sfruttati solo temporaneamente, all’occorrenza, per la vedetta o per l’accampamento di legioni militari in movimento.
Questo baluardo militare, che poteva essere alto un paio di metri, godeva di una posizione sopraelevata poiché già all’epoca i suoi costruttori avevano ricavato dalla cima della montagna un terrapieno, spostando e livellando la terra, tagliando le rocce affioranti e riempiendo parte dei crinali scoscesi. Infatti ci accorgiamo che proprio sulla vetta stiamo camminando su un vasto spazio spianato, di circa 1.200 metri quadri.
Ma come abbiamo detto gli archeologi pensano che prima di questa fortezza ci fosse un piccolo edificio di culto, magari un semplice capanno fatto in argilla e paglia e sostenuto da travi di legno, che fu però cancellato dalla nuova costruzione. Sono stati ritrovati diversi materiali che confermerebbero questa tesi, ad esempio dei bronzetti votivi scoperti già negli anni Settanta, piccole statuette di una decina di centimetri di altezza che venivano offerte alle divinità. Durante quest’ultima fase di scavi sono state inoltre rinvenute moltissime punte di ferro, tagliate però in modo troppo grezzo per essere utilizzate a scopo militare, come lance o frecce, e quindi più adatte a essere un’offerta religiosa.
Fra i frammenti di oggetti tornati alle luce durante le varie campagne di scavi, che Luca ci mostra nella loro “base operativa” ad Acone, ci sono dei pezzi di bucchero, un tipo di ceramica nera e lucida che veniva utilizzata in Etruria fra il VII e il V secolo a.C..
E ancora materiali di importazione greca del V secolo a.C. e parti di vasi con tipiche decorazioni celtiche “a unghiate” e perfino un castone di un anello in corniola a forma di scarabeo, che sul retro reca incisa una stilizzazione del mito di Eracle sulla zattera. “Questi materiali si possono sfruttare come indicatori temporali e grazie ad essi possiamo affermare che sul Monte Giovi c’è stata una frequentazione piuttosto costante fin dal VII secolo a.C.” dice il direttore dei lavori.
I ricercatori si augurano di poter proseguire queste ricerche in un’ulteriore campagna nello stesso periodo il prossimo anno, ma tutto dipende dalle amministrazioni locali. Per il momento il maggiore finanziatore degli scavi è stata l’Unione dei Comuni Valdarno e Valdisieve, insieme al Comune di Pontassieve che ha fornito l’alloggio e all’Università di Firenze che ha offerto il vitto. Sia le amministrazioni locali sia gli archeologi sperano di avere la possibilità di creare un’area archeologica riparata e protetta in vetta alla montagna e di esporre i reperti, dapprima in una mostra temporanea all’interno del Comune di Pontassieve e poi in modo definitivo nel polo museale di Dicomano.
Fonte: Sieve Notizie