Della località di Petroio, posta alle pendici di Monte Giovi, si ha notizia a partire dal 960, allorché è citata tra i beni, appartenenti al fisco regio, donati dai sovrani Berengario II ed Adalberto ad un tal Guido.

Agli inizi dell’XI secolo, le terre di Petroio sono inserite in un vasto territorio facente capo al castello di Montalto, situato sull’altra sponda del torrente Argomenna, e di proprietà della Mensa Episcopale; nel 1013 il vescovo Ildebrando donò il medesimo castello, con alcune sue pertinenze al Monastero di S. Miniato al Monte.

Nel 1071 e nel 1095 tali Benno e Giovanni donarono al Monastero stesso una porzione di effetti di loro proprietà posti nella corte di Montalto. Il figlio del sopracitato Benno, Gherardo, donò poi con istrumento rogato nel febbraio 1113 ai Monaci di S. Miniato tutti i suoi beni posti nel piviere di Acone, compresa la chiesa di S. Martino situata nel vico di Petroio.

Con l’istituzione delle leghe ed la progressiva espansione di Firenze nel contado, il popolo di Petroio fu inserito nella lega di Monteloro. Alla fine del XIII sec., cessato il patronato del Monastero di S.Miniato,  il territorio di Petroio fu richiamato a sé dal Vescovo di Firenze (che controllava anche i vicini castelli di Aceraia e Montefiesole).

Dal Bollettone dell’archivio arcivescovile in data 9 febbraio 1260 si ha notizia dell’investitura data dal vescovo Giovanni dei Mangiadori al chierico Lotto, figliuolo di Dino, della carica di rettore della chiesa di S. Martino a Petroio nel piviere di Acone.

Non abbiamo notizie successive relative all’età moderna: sappiamo soltanto che nel 1733 i fratelli Giovanni Batista e Giovanni Francesco Anforti vendettero per 2250 scudi al Monastero di S. Miniato dei monaci Olivetani, già proprietari di alcuni beni nella zona, “un podere posto nella Potesteria del Ponte a Sieve in luogo detto Petroio, composto da … una posa di terra lavorativa, vitata, fruttata, olivata, boschiva con casa da lavoratore ed alcune stanze da padrone, e con una stalla staccata dal suddetto terreno…”.

Successivamente troviamo descritti nel Decimario del Monastero tutti i possedimenti posti nel Popolo di S. Martino a Petroio”:

  • una casa con due pezzi di terra di 16 braccia;
  • un podere con due case e colombaia in località Sala;
  • un pezzo di bosco detto la Rovina;
  • una casa con un pezzo di terra dalla Loggia, composta di sette stanze, colombaia, forno, porcile;
  • un pezzo di bosco detto Lavacchio;
  • una casa con un quartoro di terre
  • un podere con una casa da padrone di Petroio con tutte le terre lavorative, vitate, olivate e pasturate di qualsivoglia altra sorte

Dai libri di campagna dell’Archivio del Monastero (la serie termina nel 1808, al tempo della soppressione delle congregazioni religiose operata dal governo francese) risultano poi aggiunti ai suddetti, altri poderi facenti capo alla fattoria di Petroio, come quello del “Belvedere, le terre del Mulino, Montalto bianco, Montalto nero, le Pialle”.

Dall’analisi delle entrate e delle uscite di ogni podere di proprietà degli Olivetani, emerge che le spese riguardavano soprattutto le varie case da lavoratore, e che nella seconda metà del ‘700 non risultano essere stati eseguiti alla villa lavori rilevanti, se si escludono alcune opere di manutenzione compiute soprattutto nel 1807. Nei pressi della villa esisteva anche una piccola fornace “per cuocere i mattoni a la pruace”, posta a servizio delle esigenze private dell’azienda.

Nel Catasto Generale Toscano degli anni venti-trenta dell’800, la villa (fattoria, aia, cappella e sagrestia, riunite nelle particelle 755 e 756) risulta ancora proprietà degli Olivetani, e tale restò fino al 1870, anno del passaggio dei beni all’Amministrazione Demaniale del regno.

L’anno successivo (1871) l’intera proprietà (costituita da una decina di poderi, oltre a rilevanti porzioni di bosco) fu acquistata da Domenico Salvatore di Tommaso Trombetta (la famiglia Sansoni-Trombetta come noto era proprietaria anche del palazzo situato proprio nel centro di Pontassieve, che è oggi sede del Comune).
I Sansoni-Trombetta non eseguirono significativi  lavori di trasformazione alla villa, se si esclude la sopraelevazione di un piano  nell’ala dell’edificio ospitante il granaio; lavori di manutenzione e consolidamento vennero comunque compiuti anche a seguito del terremoto del 1919.

Nel marzo del 1951 l’intera proprietà venne acquistata dal signor Felice Fiani, e pochi anni dopo (1958) passò alla famiglia Robiglio.

La Cappella di S. Martino a Petroio

La Cappella di S. Maria, poi S. Martino a Petroio

La Cappella di S. Maria, poi S. Martino a Petroio

I monaci Olivetani avevano dotato la villa di una piccola cappella intitolata a S. Maria, che ben presto venne sostituita alla più scomoda e difficilmente raggiungibile parrocchiale di S. Martino, di cui oggi restano solo alcune rovine. L’esistenza e l’uso della cappella fin dal XVII sec. sono comprovate oltre che dai documenti in possesso della Curia fiorentina, anche da una serie di spese mensili  fisse riportate sui libri di conti del Monastero stesso.

Vi fu trasferita la sede parrocchiale nella seconda metà del ‘700.

Fonte: Turismo in Valdarno e Valdisieve