A Tamburino, nei pressi della vetta di Monte Giovi, i tedeschi avevano approntato un campo di prigionia. All’otto di settembre del ’43 ospitava circa 100 prigionieri di guerra di tutte le nazionalità. Questi si ritrovarono di colpo senza carcerieri e senza di che mangiare e vestire.
Don Egidio Brogi, parroco di Santa Maria in Acone, cominciò col trovare un tetto per un gruppo di 25 fuggiaschi già la sera stessa. Ma di giorno in giorno ne arrivavano sempre di più, tutto il paese di Acone e le coloniche dei paraggi iniziarono ad organizzarsi per fornire vestiario e cibo.
Alcuni giorni dopo venne pubblicato il bando che obbligava alla denuncia chi avesse avvistato dei fuggiaschi: ad Acone i contadini iniziarono a costruire ripari nel bosco, lontani dalla strada.
Poi la voce che ad Acone si offrivano rifugio e cibo iniziò a spargersi e in breve fra ex-prigionieri e sfollati Don Brogi si trovò a coordinare l’accoglienza per oltre 300 persone.
La situazione era evidentemente ben al di là delle possibilità di un piccolo borgo contadino, anche in un’annata di raccolto eccezionale come quella del 1943, iniziarono allora i contatti coi Partiti d’Azione e Comunista fiorentini che permisero da una parte di soddisfare quei prigionieri che vollero tentare il passaggio del fronte per riunirsi con i rispettivi eserciti nel sud d’Italia e dall’altra di far pervenire da Firenze e da altre zone tutto quello che era necessario, anche concordando lanci di medicinali con gli inglesi.
La voce della presenza di ex-prigionieri arrivò anche alle orecchie dei fascisti, ma quello che si diceva era che su Monte Giovi ci fossero 2000 fra ex-prigionieri e partigiani, e armati fino ai denti. Per un lungo tempo questo dissuase i fascisti dal solo tentare uno scontro, dovettero attendere che i tedeschi inviassero rinforzi, ma quando questo avvenne i partigiani cui si erano uniti gli ex-prigionieri russi si erano già spostati nel Pratomagno.
Per la sua attività Don Brogi venne arrestato e portato a Villa Triste a Firenze e interrogato personalmente da Mario Carità.
Tratto da: Giovanni Baldini, Resistenza Toscana